CONDIVISIONE (6)_Elda Cortinovis

Mollati gli ormeggi la barca si staccò dalla banchina. Il timoniere si voltò un attimo a guardar terra e con un sorriso sembrò lasciare al molo tutti i cattivi pensieri, issata la vela, in un attimo, barca ed equipaggio si trovarono in mezzo al mare.
Il cielo, vagamente nuvoloso, era tagliato da lame di luce bianca e sullo sfondo il profilo morbido, grigio blu, della terra appena abbandonata, andava scomparendo.
Il viaggio era iniziato e sebbene un membro dell’equipaggio avesse tracciato la rotta, tutti erano ben coscienti che il vento avrebbe detto l’ultima parola e loro si sarebbero adeguati senza repliche.
Chi parte per mare sa che ci vuole un buono spirito di adattamento per condividere spazi stretti, cibo e decisioni, ma non basta, sa anche che a bordo ci deve essere un capitano, un equipaggio e una chiara distribuzione dei compiti, per saper affrontare tutte le situazioni.
E così era per i cinque uomini imbarcati sul dodici metri Queen.
Marco al timone conduceva la barca e sapeva farla camminare, al carteggio il suo amico fidato Gian, alla randa c’era Bob, tutti lo chiamavano così perché assomigliava da morire a Bob Dylan; Giuseppe, detto Jack, manovrava il fiocco, gli mancava un dito della mano destra, ma nessuno ci faceva più caso; infine Antonio, il factotum, voleva diventare cuoco, ma il destino gli aveva fatto incontrare la Queen e da allora non aveva mai smesso di navigare e oltre a nutrire l’equipaggio, si attivava ad ogni approdo alle cime di ormeggio e all’ancora.
Il vento soffiava da sud est a venti nodi; randa e fiocco erano regolati alla perfezione e il timoniere anticipava sapientemente le raffiche che arrivavano alle spalle.
– Niente di più facile – commentavano tra loro, mentre le vele a farfalla spingevano la Queen verso la meta scelta. Antonio preparò sotto coperta un buon riso e patate che salvava sempre dal mal di mare e passò i piatti fumanti all’equipaggio in pozzetto.
Dopo dodici ore di navigazione erano in avvicinamento alla baia che li doveva accogliere per la notte, ma il vento che andava calando sparì in pochi attimi lasciandoli ciondolare sulle onde ormai lunghe. L’unico rumore era lo sciabordio del mare sullo scafo, per il resto c’era solo silenzio.
Marco sentì arrivare qualche raffica fredda e il mare iniziò ad incresparsi, alzò lo sguardo e vide, sopra la costa, il cielo grigio plumbeo; nel mare una riga bianca di acqua polverizzata dal vento.
Un vento che veniva da nord e che in pochi secondi si sarebbe scontrato con il fronte caldo proveniente da sud, scatenando l’inferno. Marco era un timoniere esperto, ma chiunque lo avesse osservato attentamente, avrebbe intravisto nei suoi occhi, un velo di paura.
Chiamò l’ammaina, Bob esitò un attimo a lascare la drizza della randa, un fulmine schiarì il cielo e il boato del tuono che seguì fu paralizzante. Immediatamente, senza lasciare spazio a pensieri, il vento li raggiunse soffiando a più di 50 nodi e come se non bastasse si rovesciò sulle loro teste un violento acquazzone, che in breve si trasformò in grandine.
In quella situazione mollare la drizza e ammainare la randa divenne un’impresa impossibile, Antonio salì in coperta e con Bob agguantò la vela per tirarla giù e legarla al boma, ma la barca si inclinava sul mare e rimanere in piedi aggrappati a qualsiasi appiglio era davvero un miracolo.
A prua Jack con una mano sulla battagliola, bestemmiava per il dito mancante, che ora avrebbe reso la presa più forte, con l’altra cercava di agguantare il fiocco, ma questo sbatteva così furiosamente che rischiava di essere gettato in mare.
– Giaaan! – gridò a squarciagola Marco – Vieni in coperta, per Dio, e vai a prua ad aiutare Jack!
Gian aprì il tambucio e saltò fuori come un grillo, arrancò sulla coperta scivolosa aggrappandosi alle sartie e raggiunse Jack.
La grandine cessò, ma la pioggia sempre più pungente li sferzava in viso; non vedevano niente e si rannicchiarono contro l’albero.
Marco aveva acceso il motore e cercava di tenere la barca contro vento, ma le raffiche che non mollavano la loro forza, sbandavano lo scafo sull’acqua. I tuoni e i fulmini non accennavano a cessare e non sembrava ci fosse alcun armistizio neppure per il diluvio.
Tutto durò interminabili minuti, fino a quando il violento temporale, così come era arrivato, altrettanto rapidamente si dileguò, spostando il suo centro altrove.
La coda del vento portò via l’ultima pioggia, rimasero solo l’onda fastidiosa e cinque uomini stravolti. Si guardarono in faccia, fradici. Erano salvi!
Jack fu il primo a parlare:
– Bravo Marco sei stato grande a domare la barca!
– Siamo stati in gamba tutti! – rispose.
– Porca miseria, un’avventura così la potremo raccontare per cent’anni! – osservò Bob.
– Racconteremo i fatti, – aggiunse Gian – ma non l’emozione che si prova in queste situazioni. Quella la puoi spartire solo con chi l’ha vissuta!
Ci fu un attimo di silenzio; poi Antonio, già tornato alla cambusa, gridò:
– Ehi, ragazzi, birrino fresco per tutti?

 

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